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Il problema della pensioneUno dei problemi dei prossimi anni sara' quello di riuscire a costruirsi una pensione “decente”.
Gia' da diversi anni le varie riforme delle pensioni che si sono susseguite hanno sancito in maniera definitiva il passaggio dal sistema “retributivo” al sistema “contributivo”.
Gli effetti di questo passaggio, pero', non sono ancora stati direttamente sperimentati quindi le persone non hanno la diretta percezione di cosa questo significhi realmente.
In breve, passare al sistema contributivo significa che ciascuno percepira' una pensione calcolata in base agli importi versati.
Tutti i versamenti fatti alla casse pensionistiche determinano un “montante contributivo”. Questo “montante” viene rivalutato in base alla crescita del PIL.
Al momento di andare in pensione, per determinare la pensione annua, si calcola una percentuale del montante in base all'aspettativa di vita media.
Facciamo un esempio per capire. Abbiamo realizzato un semplicissimo foglio elettronico (che trovate allegato all'articolo) per fare i calcoli. Chi vuole puo' utilizzarlo per adattare questo esempio al proprio caso.
Diciamo subito che in questi calcoli e' fondamentale considerare l'effetto dell'inflazione.
E qui c'e' un primo, importante, elemento di incertezza perche' e' impossibile conoscere in anticipo l'andamento dell'inflazione. E' necessario fare delle stime.
Ipotizziamo un lavoratore di 35 anni. Con un reddito di 24.000 euro all'anno.
Ipotizziamo che versi 5.000 euro all'anno di contributi pensionistici (circa il 20% come i lavoratori autonomi).
Ovviamente questi 5.000 euro devono essere rivalutati per l'inflazione attesa di anno in anno (poiche' si ipotizza che il reddito aumenti di pari passo...). Quindi se l'inflazione attesa e' il 2%, l'anno successivo versera' 5.100 euro, l'anno dopo 5.202 euro, ecc. ecc.
Bene, a 65 anni di vita, questo soggetto, avra' un totale di versamenti pari a 206.897,20 euro.
Il totale del “montante contributivo” dipende dalla rivalutazione di questi versamenti.
Nei fondi previdenziali pubblici, la rivalutazione e' parametrizzata alla crescita del prodotto interno lordo (il famoso “PIL”, ma quello nominale, ovvero copre sempre l'inflazione).
Ipotizziamo, in questo esempio, che la rivalutazione sia almeno pari all'inflazione, ovvero al 2%.
Il montante contributivo, in questo esempio, sarebbe pari a 271.704,24 euro.
A questo montante si applica il coefficiente di conversione in rendita che oggi sarebbe del 6,136% per una persona di 65 anni (tali coefficienti sono soggetti a variazione in base alle statistiche sulla vita media residua). In pratica questo soggetto riceverebbe, fra 30 anni, una pensione pari a 16.671,77 euro all'anno in termini nominali. Ipotizzando una inflazione media del 2% all'anno tale importo corrisponde a € 9.204 in valore attuale, ovvero al 38% del proprio reddito avendo versato, per 30 anni, ben il 25% del proprio reddito!
Adesso, forse, e' un po' piu' chiaro cosa significa realmente “sistema contributivo”, un sistema giusto – in teoria – ma tutto dipende dalla rivalutazione dei versamenti.
Proviamo, ad esempio, a rivalutare i versamenti di un 4% (e non del 2% come prima).
Il montante contributivo, a scadenza, diventa 365.169,16 euro.
La pensione diventa di € 22.406,78 nominali, pari al € 12.370,13 in valore attuale.
Il 2% di rendimento reale (ovvero aggiuntivo a quello dell'inflazione) ha aumentato la pensione portandola dal 38 a quasi il 50% del reddito attuale!

I principi basilari dei fondi pensione aperti e dei piani pensionistici sono gli stessi di questo esempio. Il problema e' capire:
1. quanta parte dei versamenti se ne vanno in costi e quanta parte vengono effettivamente destinati a quello che diventera' il “montante contributivo”
2. che attese di rivalutazione dei versamenti ci sono (e questo dipende dal tipo di investimento fatto e dai costi connessi a questi investimenti)
3. i coefficienti di conversione in rendita previsti da questi piani (nella maggioranza dei casi vengono stipulati degli accordi con le compagnie assicurative che si riservano la possibilita' di modificare tali coefficienti in base alla durata media della vita).
Si fa un gran parlare dei presunti vantaggi fiscali. I solidi versati su questi piani pensionistici non vengono tassati (nella misura massima del 12% del proprio reddito con un tetto di 5.164 euro). In piu' i rendimenti vengono tassati al 11% invece che al 12,5%. La rendita, pero', verra' tassata (almeno per la parte relativa ai versamenti dedotti, non per la parte relativa ai rendimenti) e quindi i vantaggi della deduzione fiscale vengono, in buona parte, compensati dalla tassazione successiva.

E' fondamentale iniziare a mettere da parte i soldi per la propria pensione il prima possibile affinche' l'effetto della capitalizzazione composta possa spiegare il piu' possibile i propri vantaggi.
Purtroppo il problema viene avvertito spesso troppo tardi.

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