Quando i sistemisti governarono la Terra - Nuovo ordine
- Scritto da Dario
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Felix si era alzato in piedi. — Non è possibile, non possiamo pensarla in questo modo. Cara mia, siamo arrivati a un momento critico. Possiamo affondare nell’indifferenza, rimpicciolirci nei nostri nascondigli, oppure possiamo cercare di costruire qualcosa di migliore.— Migliore? — Lei fece una smorfia.— Ok, non migliore. Però qualcosa. Costruire qualcosa di nuovo è meglio che lasciar che scompaia tutto. Cosa ti resterà da fare quando avrai letto tutte le riviste e avrai mangiato tutte le patatine che ci sono qui dentro?
Rosa scosse la testa. — Bel discorso, ma che diavolo possiamo fare?
— Qualcosa — riprese Felix. — Dobbiamo fare qualcosa. Qualcosa è meglio di niente. Dobbiamo prendere questa fetta di mondo nella quale la gente ancora si parla e allargarla. Dobbiamo trovare tutti quelli che riusciamo e dobbiamo prenderci cura di loro, e loro si prenderanno cura di noi. Probabilmente manderemo tutto a puttane. Probabilmente falliremo. Ma preferisco fallire piuttosto che rinunciare.
Van si mise a ridere. — Felix, sei più pazzo di Sario, sai?
— Domattina, come prima cosa, andremo là e lo trascineremo fuori. Anche lui dovrà essere parte di tutto questo. Tutti ne saranno parte. Fanculo la fine del mondo. Il mondo non finisce. L’umanità non è il genere di cose che ha una fine.
Rosa scosse nuovamente la testa, ma questa volta con un piccolo sorriso. — E tu cosa sarai? L’Imperatore-Papa del nuovo mondo?
— Preferisce Primo Ministro — Van bisbigliò, come fosse un suggeritore di teatro. Gli antistaminici avevano fatto miracoli alla sua pelle, che era virata dal rosso acceso a un bel rosa. — Vuoi essere Ministro della Salute, Rosa?
— Ragazzi — rispose lei. — Vi piace scherzare. Sentite, che ne dite se vi aiutassi per quanto posso, a patto che non mi chiediate di chiamarvi Primo Ministro, e a patto che non mi chiamiate Ministro della Salute?
— Affare fatto.
Van riempì tutti i bicchieri, facendo scolare le ultime gocce dalla bottiglia capovolta.
Sollevarono i bicchieri. — Al mondo — Brindò Felix. — All’umanità. — Pensò intensamente prima di concludere. — Alla ricostruzione.
— A tutto — replicò Van.
— A tutto, a ogni cosa.
— A ogni cosa — disse Rosa.
Bevvero. Il giorno seguente, cominciarono la ricostruzione. Mesi più tardi, ricominciarono da capo, quando i disaccordi spaccarono il piccolo e fragile gruppo che avevano messo assieme. Un anno dopo, ricominciarono di nuovo. E ancora, cinque anni dopo.
Passarono quasi sei mesi prima che tornasse a casa. Van gli diede una mano, accompagnandolo sulle biciclette che usavano per spostarsi in città. Più a nord si spingevano, più forte si faceva l’odore di legno bruciato. C’erano moltissime case ridotte in cenere. Qualche volta gli sciacalli bruciavano le case che ripulivano, ma più spesso era soltanto un fenomeno naturale, come gli incendi che scoppiano nelle foreste e sulle montagne. Oltrepassarono sei isolati bruciati e soffocanti prima di arrivare a casa.
Ma il vecchio condominio dove viveva Felix era ancora in piedi, un’oasi di palazzi stranamente intatti, tanto da sembrare come se dei padroni di casa un po’ distratti si fossero semplicemente allontanati un attimo a comprare della vernice fresca e un paio di lame nuove per il tagliaerbe per riportare le loro vecchie case alla loro solita apparenza ordinata e curata. Questo rendeva il tutto più doloroso, in un certo senso.
Scese di sella all’ingresso della quartiere e poi proseguirono a piedi, spingendo le biciclette in silenzio, ascoltando il sussurro del vento tra i rami degli alberi. L’inverno era in ritardo, quell’anno, ma stava arrivando e, mentre il sudore gli si asciugava al vento, Felix iniziò a rabbrividire.
Non aveva più le chiavi di casa. Erano al datacenter, a mesi e mondi interi di distanza.
Provò la maniglia della porta, ma non girava. Spinse la porta con una spalla e il legno si strappò via dal cardine umido e marcio con un rumore forte e scricchiolante. La casa stava marcendo dall’interno. La porta ricadde a terra con un tonfo, nell’acqua. La casa era completamente allagata di acqua stagnante, e nel soggiorno c’erano almeno dieci centimetri di acqua sporca e puzzolente. Si mosse con cautela, sentendo le tavole del pavimento cedere sotto i suoi passi come se fossero di spugna. Su per le scale, e il suo naso era ormai invaso da quella terribile puzza di umido. Entrò nella camera da letto e vide la mobilia, familiare come un vecchio amico d’infanzia. Kelly era a letto con 2.0. Dal modo in cui entrambi giacevano sul letto, era chiaro che non erano morti senza soffrire. Erano piegati in due, Kelly intorno a 2.0. La pelle era rigonfia ed erano quasi irriconoscibili. L’odore… Mio dio, quell’odore.
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