Gli americani insistevano per avere un presidente, ma Felix non era d’accordo. Il titolo sembrava troppo fazioso. Il suo futuro non sarebbe stato un futuro americano. Se ne era andato assieme alla Casa Bianca. Voleva che le prospettive fossero più ampie.
C’erano sistemisti francesi della France Telecom. Il datacenter della EBU era stato risparmiato dagli attacchi che avevano colpito Ginevra ed era pieno di sardonici tedeschi il cui inglese era migliore di quello di Felix. Andavano d’accordo con quello che rimaneva del team della BBC a Canary Wharf.
In. recovery.logistics parlavano un inglese poliglotta e Felix cavalcava l’onda. Alcuni degli amministratori stavano placando le stupide e inevitabili flame grazie alla pratica di lunghi anni. Alcuni intervenivano con utili consigli; quelli che credevano che Felix si fosse bevuto il cervello erano sorprendentemente pochi.
-> Credo che dovremmo tenere elezioni il prima possibile. Domani al più tardi.
-> Non possiamo governare senza il consenso dei governati.
Entro pochi secondi gli arrivò la risposta nella casella di posta.
-> Non puoi dire sul serio. Il consenso dei governati? A meno che
-> non mi sfugga qualcosa, la maggior parte delle persone che ti
-> proponi di governare è impegnata a vomitare le proprie budella
-> o a camminare per le strade in stato confusionario.
-> Quando potranno votare LORO?
Felix dovette ammettere che aveva ragione. Queen Kong era perspicace. Non c’erano molte donne sistemiste, una vera tragedia. Non ci si poteva permettere che donne come Queen Kong rimanessero fuori dai giochi. Doveva inventare una soluzione per avere una sufficiente partecipazione femminile nel suo nuovo governo. Obbligare ogni regione a eleggere una donna per ogni uomo?
Si mise a dibattere piacevolmente con lei. Le elezioni le avrebbero tenute l’indomani; ci avrebbe pensato.
— Primo Ministro del Cyberspazio? Perché allora non ti fai chiamare Gran Funtone dello Spazio Dati Globale? È più altisonante, più figo e ha esattamente la stessa utilità. Will dormiva nello spazio accanto al suo, su nel bar, con Van dall’altro lato. La stanza puzzava come un cesso: venticinque sistemisti che non si lavavano da almeno un giorno erano tutti ammassati nella stessa stanza. Per alcuni di loro si trattava sicuramente di molto, molto più di un giorno.— Sta’ zitto, Will — disse Van. — Tu volevi spegnere Internet.
— Ti devo correggere: io voglio spegnere Internet. Tempo presente.
Felix socchiuse un occhio. Era talmente stanco che alzare le palpebre era faticoso come sollevare dei pesi.
— Senti, Sario, se non sei d’accordo con il mio programma, presentane uno tuo. C’è un sacco di gente che crede che io stia sparando stronzate, e io li rispetto, visto che o sono candidati contro di me o supportano qualcuno che lo è. Sono queste le tue alternative. Quello che invece non sta nel menù è lamentarsi di tutto e limitarsi a contestare. Ora dormi, oppure vai a scrivere il tuo programma.
Alzatosi lentamente, Sario srotolò la giacca che usava come cuscino e la indossò.
— Andate a cagare, ragazzi. Me ne vado.
— Credevo che sarebbe rimasto qui per sempre — disse Felix rigirandosi. Rimase sveglio per molto tempo: pensava alle elezioni.
C’erano altri candidati. Alcuni di loro non erano nemmeno sistemisti. Un senatore americano rifugiato nella sua casa estiva nel Wyoming possedeva generatori di elettricità e un telefono satellitare. In qualche modo aveva trovato il newsgroup giusto e si era proposto. Hacker anarchici italiani bombardarono il newsgroup per tutta notte con sgrammaticati sproloqui circa la destituzione del — concetto di governo — nel mondo nuovo. Guardando il loro segmento di rete, Felix dedusse che erano probabilmente sepolti in un piccolo istituto di Progettazione Interattiva nei pressi di Torino. L’Italia era stata colpita molto duramente, ma quella cella di anarchici era riuscita a prendere residenza nel villaggio virtuale.
Un sorprendente numero di candidati aveva nel proprio programma lo spegnimento di Internet.
Felix aveva i suoi dubbi sul fatto che fosse possibile fare una cosa del genere, ma poteva capire l’impulso di portare a termine il lavoro e dire addio al mondo. Perché no?
Si addormentò mentre pensava alle eventuali azioni necessarie per spegnere Internet ed ebbe incubi nei quali era l’ultimo e solo difensore della rete.
Un suono ruvido e frusciante lo svegliò. Si rigirò e vide che Van si era messo a sedere, accovacciato, e intento a grattarsi vigorosamente le braccia magre. Erano ormai del colore della carne sotto sale e sembravano squamate. Illuminati dalla luce che entrava dalle finestre del bar, piccoli brandelli di pelle volteggiavano e danzavano in grandi nuvole.
— Cosa stai facendo? — Felix si mise a sedere. Osservare le unghie di Van che graffiavano la pelle gli fece venire prurito per simpatia. Erano passati tre giorni da quando si era lavato i capelli per l’ultima volta e ogni tanto gli sembrava di avere in testa piccoli insetti intenti a scavargli la pelle per deporci le uova. La notte precedente si era toccato dietro le orecchie per sistemarsi gli occhiali; le sue dita erano rimaste lucide di denso sebo. Se non faceva la doccia per un paio di giorni, dietro alle orecchie gli spuntavano punti neri, talvolta foruncoli giganti, che Kelly faceva scoppiare con un piacere perverso.
— Mi sto grattando — disse Van. Cominciò a lavorarsi la testa, immettendo nell’aria una nuvola di forfora che andava ad aggiungersi alle schifezze che aveva già rimosso dalle estremità. — Dio, mi prude dappertutto.
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